Bottega e oggetti artigianali : di che cosa sono simbolo?

In un libro scritto nel 2010 dal titolo Il talento dell’impresa. L’impronta rinascimentale in dieci aziende italiane (Lanzone, Morace), alcuni imprenditori ipotizzano un ritorno alla bottega artigianale, di stampo rinascimentale appunto, auspicando che dallo spirito creativo possano emergere nuove strategie per rilanciare la produzione del made in Italy.

Parto da questa affermazione per soffermarmi su alcune parole a parer mio molto significative: bottega, artigianato e creatività.

La bottega è un luogo simbolico dove si costruiscono oggetti con le mani, nel nostro immaginario è un luogo piccolo, forse un po’ angusto, con persone indaffarate, odori forti che ci parlano di ciò che si sta costruendo. È un luogo dove possiamo acquistare, ma anche fare due chiacchiere con i proprietari che magari conosciamo da tempo e di cui ci fidiamo.

È un luogo quasi scomparso dai centri delle nostre città, ormai gentrificate, divenute vetrine per i turisti. 

A volte le ritroviamo in periferia, spesso gestite da migranti, è il caso delle sartorie cinesi, o frequentate da un certo target di persone, come le ciclofficine diventate cult negli ultimi anni.

“Sant’Eligio nella bottega di un orefice”- 1449, Peter Christus , Metropolitan Museum, New York

Oggetti unici, avulsi dalla produzione industriale che rimandano alla parola “creatività”, il cui significato è polisemantico. La creatività è una qualità, una strategia di problem solving, un modo di vedere il mondo. 

Gli oggetti artigianali, costruiti con sapienza, danno gratificazioni e trasmettono significati specifici non solo a chi li consuma ma anche a chi li produce. Gli oggetti fatti a mano parlano di soggettività: attraverso il loro possesso e uso noi creiamo il nostro stile, la nostra estetica personale.  Daniel Miller, antropologo inglese che si è occupato di cultura materiale, afferma che il rapporto con gli oggetti è dialettico, ci costruiscono mentre noi li costruiamo e li possediamo, non esiste separazione tra soggetto e oggetto (Miller 2013). Spesso diventano oggetti d’amore, simbolo di legami o di preziosi momenti passati, cosiddetti “oggetti di memoria”, ancor più inestimabili perché ideati da una persona specifica (l’artigiano) e fatti a mano.

Oggi parlare di artigianato significa sempre più parlare di arte, la differenza tra l’artigiano e l’artista, vero detentore della creatività, è sempre più sfumata. I nuovi artigiani, quelli di cui si parla in questo sito, sono soprattutto ideatori dei lori oggetti, prima che costruttori. I loro oggetti non sono riproduzioni di modelli fissi, bensì espressione della loro individualità e dunque creatività. 

Tutto questo è dunque sì la riscoperta di un mondo, quella degli oggetti fatti a mano, quello delle botteghe ma anche la creazione di “un’arte del fare”, una straordinaria ricchezza di pratiche, saperi ed esperienze che chiedono di essere valorizzate.
Così si combatte l’uniformità, attraverso oggetti che narrano di chi li ha costruiti e di chi li possiede. 

Bibliografia 
Lanzone, G., Morace, F., 2010, a cura di, Il talento dell’impresa. L’impronta rinascimentale in dieci aziende italiane, Busto Arstizio, Nomos Edizioni.
Miller D., 2013, Per un’antropologia delle cose, Milano, Ledizioni.

Lucia Portis, antropologa e formatrice. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Antropologia della salute presso L’Università degli studi di Torino. È esperta in Metodologie Autobiografiche e ricerca narrativa ed è docente e membro del Consiglio scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici “Athe Gracci” della Libera Università dell’autobiografia di Anghiari (AR). È docente di Antropologia medica e culturale presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di storie di migrazione e di progetti di promozione della salute nella comunità territoriale e nelle scuole.